venerdì 31 gennaio 2020

Dai media ai mass media, ai new media



I mass media sono le tecnologie per la diffusione su larga scala di informazioni e cultura, sviluppatosi nelle società moderne. Rientrano nella categoria la stampa, il cinema, la radio, la televisione, internet.
I mass media sono considerati come uno sviluppo dei media.

Il termine “medium” significa “mezzo”, che designa ogni strumento o tecnologia che permetta di superare i limiti della comunicazione faccia a faccia.

Fanno parte la scrittura in tutte le sue forme il telegrafo, il telefono; ma nessuno di questi strumenti può essere definito di “massa”, perché generalmente permette uno scambio di informazioni soltanto tra due persone ed è caratterizzato da una diffusione limitata, a causa delle lente modalità di produzione.

I mass media, al contrario dei media, possono rivolgersi ad un gran numero di utenti. I libri e le pubblicazioni periodiche (mass media cartacei), invece, sono oggetti materiali e devono fare i conti con i meccanismi della distribuzione commerciale.

Per riprendere un’efficacia espressione del sociologo Marshall McLuhan (1911-1980), che dice «il messaggio ha potuto viaggiare più velocemente del messaggero», si può dire che siamo entrati nell’era dei mass media grazie ad importanti innovazioni tecnologiche.

Con l’invenzione del telegrafo elettrico, avvenuta nel 1936 da Samuel Morse (1791-1872) si aprì la strada alla “cultura dei media elettrici” e finalmente era possibile comunicare in tempo reale anche attraverso grandi distanze.

McLuhan stabilisce che questo collegamento tra uomini contemporanei e gli abitanti dei villaggi primitivi, ha creato un villaggio globale, cioè una comunità grande quanto il nostro pianeta, in cui gli uomini abitano contemporaneamente in più luoghi e vivono più vite per effetto dei media elettronici. L’uomo contemporaneo appare simile a quello primitivo dal punto di vista percettivo, perché la capacità sensoriale maggiormente coinvolta nei processi comunicativi, non è la vista, ma l’udito. Per questo lo studioso parla di “oralità secondaria”, con la quale si indica il ritorno nella nostra civiltà ad una forma di cultura orale, dovuta all’avvento di media, come il telefono, la radio e la televisione che hanno favorito un parziale attenuarsi del predominio della scrittura.

Presi nella rete


I mass media di ultima generazione, ovvero i mezzi di diffusione su larga scala, è stata coniata l’espressione di new media. La più grande novità è stata la rapida ed universale affermazione di internet, che indica “la rete” per eccellenza. Essa viene utilizzata tuttora per scambio di informazioni rapido ed a basso costo, pubblicazione di materiali multimediali, erogazione di servizi di vario tipo. I giovani
d’oggi padroneggiano con facilità i meccanismi di internet. Partecipando a discussioni delle comunità virtuali, visitando, creando e gestendo siti, ecc.



                         

 Riassumendo schematicamente quanto detto:






martedì 14 gennaio 2020

Dalla cultura orale ai media



Il pensiero umano è inseparabile dalla sua espressione linguistica:
senza la parola e senza quegli strumenti, che, a cominciare dalla scrittura, hanno reso possibile la comunicazione di esperienze e la condivisione di visioni del mondo e racconti mitici, sapremmo ben poco di noi stessi.

 Potere e limiti della parola  


Le culture che non conoscono la scrittura, cioè la parola scritta, sono definite “culture ad oralità primaria”. Per le caratteristiche ed i modi di vita tipici di queste culture, la memoria è l’unico “strumento” per conservare e trasmettere il sapere, avente un ruolo centrale.
Per facilitare la memorizzazione, il pensiero viene espresso mediante frasi fatte, proverbi, massime.

Le comunicazioni nelle culture ad oralità primaria, avvengono essenzialmente faccia a faccia, dando molta importanza allo scambio mediato, alla negoziazione ed alla relazione in sé e per sé, influendo sul valore sociale delle relazioni interpersonali dirette.

Con le sofisticate tecnologie della comunicazione (computer, internet, posta elettronica) fa dimenticare quanto sia potente la parola come strumento di comunicazione. Infatti, a essa le culture orali attribuiscono un potere magico e taumaturgico, cioè curativo. Tuttavia, la comunicazione orale presenta alcuni limiti:

-          .  Non persiste

-          .  È limitata nello spazio

-          .  È limitata ad un numero stretto di persone

 L’invenzione della scrittura e la cultura chirografica


Il primo sistema di scrittura inventato dai Sumeri (3.500 a.C.) è chiamato “cuneiforme”, perché composto da caratteri a forma di cuneo incisi su tavolette di argilla. La loro scrittura si è evoluta nel tempo prima con dei pittogrammi, disegni stilizzati degli oggetti a cui si voleva riferire (disco con raggi per il sole), con ideogrammi, rappresentazioni simboliche delle idee (cartelli stradali odierni), ed infine i fonogrammi (segni attraverso suoni).


Verso la metà del secondo millennio a. C., ci fu l’invenzione del primo alfabeto fonetico, compiuto dai Fenici, composto di 22 segni consonantici, a cui il lettore doveva aggiungere le vocali.

Quest’ultimo può essere considerato l’antenato dell’alfabeto greco, il quale comprendente di 25 segni, distinti tra vocali e consonanti, fu creato a partire dal VIII secolo a.C.

Con l’invenzione della scrittura ebbe inizio la cosiddetta cultura chirografica o manoscritta, la quale si impose col tempo sulla cultura orale e potevano fare a meno della memoria perché il loro sapere veniva depositato nei libri.

L’invenzione della stampa e la cultura tipografica

Verso la metà del secolo XV comparve in Europa la stampa a caratteri mobili. L’inventore fu l’orefice Johannes Gutenberg (1395-1468).

Grazie a lui ci furono conseguenze sociali e culturali rilevantissime. Furono stampati più libri di quanti non ne avessero stampati tutti gli amanuensi. Il libro divenne così un oggetto molto diffuso, capace di entrare anche nelle case delle famiglie di media condizione sociale.

Sul piano lessicale e grammaticale, le opere a stampa contribuirono a creare una lingua standard, con regole ortografiche codificate. Le lingue più favorite furono quelle nazionali degli Stati economicamente e politicamente più potenti.


                                          Riassumendo schematicamente quanto detto:




La dimensione culturale della malattia



La parola “etno” indica l’ambito di ricerca dell’antropologia che cerca di chiarire quale relazione esista tra le conoscenze naturali ed i contesti sociali e culturali in cui vengono elaborate.

L’approccio etnologico alle forme del sapere scientifico è che le elaborazioni cognitive sono culturalmente situate: le interpretazioni dei fenomeni naturali ed i modi di curare le malattie possono variare in relazione agli ambienti sociali in cui sono stati prodotti.

Nella cura delle malattie, le società tribali o tradizionali si accostano alla diagnosi ed alla terapia dei disturbi del corpo differenti da quelli in uso nella medicina occidentali (guaritori, sciamani). Lo studio etnologico delle malattie mentali dall’etnopsichiatria o psichiatria transculturale, che coinvolge antropologi e psicologi clinici, studia i disturbi psicologici nelle diverse culture, analizzando il ruolo del contesto culturale nella manifestazione dei sintomi, cercando di capire in che modo il disturbo è interpretato nelle società.

Durante il periodo coloniale, fondato su informazioni indirette (testimonianze di viaggiatori), gli studiosi erano convinti che i popoli tribali non fossero affetti da disturbi mentali, in quanto immuni dagli stress della vita moderna.

In seguito a ricerche condotte sul campo, si è dimostrato l’esistenza di disturbi come la sindrome schizofrenica o stati depressivi, portando alla conoscenza dei cosiddetti “disturbi etnici”. Questi sono patologie del comportamento che compaiono presso un popolo e che non trovano riscontro in altre culture.

Alcuni di questi disturbi sono ancora oggi conosciuti grazie a numerosi studi:



·         Il Latah è un disturbo caratterizzato dalla ripetizione automatica di parole, azioni fatte da altri, talora con accompagnamento di parole oscene. I sofferenti sono individui particolarmente impressionabili e soggetti ad azioni incontrollate a stimoli improvvisi ed inaspettati.


 ·         L'Amok è una tipica sindrome malese, in cui un uomo si ritiene offeso comporta un suo periodo di isolamento, al termine del quale rientra nel villaggio furibondo e si mette a correre all’impazzata, colpendo alla cieca chiunque incontri.



  ·         Il Windibo, o Windigo, è diffuso tra gli indiani della foresta subartica e canadese e consiste nel timore panico di trasformarsi in un Windibo, un gigantesco spirito cannibale fatto di ghiaccio. Può essere interpretato come la forma tradizionale in cui si esprime una paura collettiva, quella di essere mangiati.


  ·         La sindrome di Cane Pazzo è un modo di reintegrazione nel gruppo di un giovane guerriero che ha perso l’onore e causato conflitti e squilibri all’interno della sua comunità.





                                 Riassumendo schematicamente quanto detto:




Il racconto mitico



I miti sono narrazioni che esprimono in un linguaggio fantasioso e ricco di immagini e temi fondamentali, come l’origine del mondo, la nascita degli dei ed i rapporti degli uomini tra loro e con altri esseri viventi. Essi vengono definiti anche “racconti fondativi”; in molti casi servono a spiegare o giustificare una situazione presente cercandone le origini nel passato (con il nascente Impero Romano di Augusto si attribuì una fondazione nobile e leggendaria).




Ci sono delle differenze importanti tra la funzione che i miti svolgono nelle culture prive di scrittura ed il loro ruolo nelle società, che hanno elaborato un pensiero scientifico. In quest’ultime il mito non rappresenta più una spiegazione credibile del mondo, ma viene considerato favola o poesia.

Paragonando le culture tribali, in cui il sapere è tramandato oralmente, al mito, quest’ultimo ha funzioni sociali molto importanti: serve ad organizzare il tempo ed a definire il rapporto tra passato e presente.


Osservando le formule utilizzate nella scrittura dei racconti, si nota che tutti iniziano con: 
“una volta”, “un tempo”, ecc. che sottolineano la distanza tra la realtà del presente ed un mondo in cui agiscono gli dei e gli eroi, assieme ai tre regni della natura, i quali sono quello vegetale, umano ed animale.




In base al testo appena citato, si ricorda una definizione dell’antropologo strutturalista Claude Levi-Strauss:

“il mito è una storia dei tempi in cui gli uomini e gli animali non erano ancora distinti”; ma è anche una storia dei tempi in cui l’umanità cercava spiegazioni totali della realtà, perché non erano ancora nate le scienze con le loro risposte e le loro tendenze alle distinzioni ed alle classificazioni.


Levi-Strauss preferisce considerare il mito in sé stesso e porlo in relazione con altri miti allo scopo di individuare una sorta di grammatica sottesa ai racconti.

Levi-Strauss, dopo un’attenta analisi del mondo variopinto dei miti, comprese l’esistenza di mitemi, ovvero di nuclei narrativi ricorrenti in molti miti: 
il bambino rapito dall’orco, la lotta vittoriosa, ecc.

Inoltre, individuò il modo in cui i nuclei narrativi si combinano fra loro nello sviluppo della storia:
possono contrapporsi, sparire, apparire; tutto ciò per regole di combinazione che richiamano quelle della grammatica o delle figure retoriche.

In conclusione, all’analisi di Levi-Strauss, portò alla luce le strutture del mito: non contenuti o funzioni, ma regole dii trasformazione e combinazione dei nuclei narrativi.


                       Per capire meglio riassumiamo schematicamente quello che è stato descritto:
































Dalla magia ai new media: forme di pensiero e della comunicazione




Le ricerche degli antropologi non si rivolgono solamente allo studio degli elementi della cultura materiale, ma prendono in esame anche i cosiddetti “sistemi di pensiero”.

Fin dagli esordi dell’antropologia culturale, gli studiosi furono interessati a spiegare e
comprendere le forme di pensiero non scientifiche, che si esprimono nella magia e nei racconti mitici nelle popolazioni extraeuropee.

I sistemi cognitivi differenti da come siamo stati cresciuti ed educati rappresentano modalità alternative di conoscenza, non prive di una loro logica e di una loro efficacia.

Pensiero magico

Quello del pensiero magico è un tema che ha interessato gli antropologi fin dall’inizio, studiato nei suoi rapporti con la religione e la scienza, riscontrando che tra magia e religione non intercorrano rapporti molto stretti. 




Il nesso tra magia e scienza è evidente nei riti di guarigione, nell’astrologia e

nell’arte di predire il futuro attraverso l’interpretazione dei fenomeni naturali o con la lettura degli organi di animali uccisi. 
La magia si può definire come: 
la credenza nel potere del gesto e della parola.



Le arti magiche comprendono formule verbali, invocazioni e pratiche con le quali stregoni e sciamani ritengono di influire sul corso degli eventi o sulla natura delle cose. Essi utilizzano pozioni, l’imposizione delle mani o l’azione a distanza di gesti rituali compiuti con oggetti, sia per curare o infliggere malefici.


La cultura popolare, inoltre, distingue, come già anticipato, due tipi di magia:
  • ·         La “magia bianca”, la quale è quella che persegue scopi benefici.


  • ·         La “magia nera”, la quale è quella distruttiva. 
Poi esistono la magia naturale e la magia cerimoniale:

La prima mira a trasformare la natura, inserendosi nelle sue leggi e percorrendo la strada empirica e razionale.

La seconda percorre strade alternative, in quanto si prefigge di ottenere scopi benefici o malefici ricorrendo alla potenza del gesto e della parola.


Inoltre, si serve delle pratiche più varie, come forme verbali ripetute più volte, aspersione di liquidi ed il contatto con oggetti. L’opera di magia può essere chiamata in vari modi: negromanzia, divinazione, sortilegio, incantesimo, fattura, malocchio, stregoneria.
  •       Il termine “magia” indicava in origine la sapienza dei Magi persiani, sacerdoti del culto zoroastriano, considerati esperti nelle arti occulte e capaci di dominare le forze sovrannaturali. Con il tempo il termine “magia” assunse il significato attuale di arte misteriosa e segreta.
  •   Il termine “negromanzia” indica un’antica arte divinatoria fondata sull’evocazione degli spiriti dei defunti e su pratiche occulte effettuate sui cadaveri.
  • La parola “divinazione” designa l’arte di predire il futuro, ovvero di scoprire le intenzioni divine interpretando gli eventi
  •  Il “sortilegio” era nell’antichità una pratica divinatoria, effettuata lasciando cadere dei bastoncini o altri oggetti colorati ed interpretandone le modalità della caduta.
  •  La parola “incantesimo”, o “fattura”, si riferisce, invece, alla facoltà di incantare, cioè di soggiogare qualcuno, influire su di lui a distanza addormentarlo o pietrificarlo.
  •  Il “malocchio” richiama la potenza della visione e si riferisce all’influsso malefico esercitato dallo sguardo di persone dedite a pratiche magiche e diaboliche.
  •  La “stregoneria” per la cultura popolare equivale alla magia nera, per l’antropologia, invece, è un individuo con la capacità di dominare le potenze sovrumane.



Tra gli studiosi interessati allo studio delle pratiche magiche, ricordiamo l’antropologo evoluzionista James Frazer (1854 – 1941), il quale scrisse una sua opera dal titolo “Il ramo d’oro”, su studi sulla magia e la religione. Egli cercò di individuare i principi del pensiero magico attraverso i rapporti di causa/effetto, arrivando a isolarne due:

Il principio di similarità, secondo il quale il simile produce il simile, utilizzando la magia omeopatica, cioè incantesimi sull’immagine del nemico.

 Il principio di contatto, secondo il quale le cose che sono state a contatto tra loro continuano ad agire l’uno con l’altra anche quando la cessazione del contatto fisico, utilizzando la magia contagiosa, cioè usando parti del corpo.

In conclusione, secondo Frazer, la magia si basa sullo stesso principio della scienza moderna: l’universo è ordinato ed uniforme, ed in esso ogni causa è seguita da un effetto.






L’altro studioso, invece, che ricordiamo è l’antropologo Edward Evan Evans-Pritchard (1902–1973).



Dopo aver partecipato a tre spedizioni nel Sudan meridionale tra un popolo di coltivatori, cacciatori e pescatori, descrisse la cultura nel volume:
Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande”.

Egli studiò la magia non come fase del processo evolutivo (prescientifica), ma nel contesto in cui si manifesta; diceva che il popolo degli Azande spiegavano attraverso la magia eventi fausti ed infausti.

Nel contesto culturale studiato da Evans-Pritchard, dunque, magia e stregoneria non hanno a che fare con il soprannaturale, ma sono realtà profondamente umane, strumenti con cui difendersi dai nemici o con cui attaccarli; attraverso gli oracoli, gli esorcismi.



                   Per capire meglio riassumiamo schematicamente quello che è stato descritto: